Viviamo in un'epoca che potremmo definire quella del comfort estremo. Fame? Delivery. Noia? Social o Netflix. Dubbi, domande, ricerche? Intelligenza Artificiale sempre disponibile. Il nostro cervello è programmato per risparmiare energie quindi associa il comfort alla sicurezza e si adatta molto rapidamente a questo stato di continua facilitazione. Ma c'è un effetto collaterale che rischiamo di non vedere: stiamo perdendo la naturale capacità di confrontarci con i problemi. E questa perdita ha un impatto enorme su come cresciamo, come educhiamo, come guidiamo le persone; in generale su come viviamo.
La società del comfort ha cambiato il nostro rapporto con i problemi. In un Paese come l'Italia, dove – fortunatamente – le esigenze primarie come cibo, acqua e riparo sono garantite alla maggior parte della popolazione, la soglia di tolleranza ai problemi si è drasticamente abbassata. Se, in passato, un problema era qualcosa che implicava la sopravvivenza o la possibilità di costruire un futuro migliore, oggi rischiamo di percepire come "problemi" anche piccoli disagi quotidiani: un bambino che si annoia, uno studente che fatica a completare i compiti, un collaboratore che incontra una difficoltà in un progetto. Il comfort, se da un lato è un privilegio, dall’altro ha reso il nostro rapporto con i problemi più fragile. 1. Quando tutto è facile, anche piccoli ostacoli diventano montagneIn un contesto dove l'accesso alle soluzioni è immediato, anche il più piccolo imprevisto può apparire insormontabile.
Responsabilità educativa significa aiutare chi abbiamo di fronte – figli, studenti, team – a ritrovare il senso autentico della difficoltà: non come un ostacolo da evitare a tutti i costi, ma come una tappa fondamentale della crescita. 2. Più comfort, meno capacità di affrontare problemiL'assenza di difficoltà oggettive porta a una graduale perdita di resilienza.
Amorevole fermezza in educazione vuol dire dare supporto emotivo, ma anche lasciare che ciascuno incontri e gestisca i suoi problemi. I problemi sono progettiC’è un’immagine meravigliosa che ci aiuta a cambiare sguardo: Il problema non è un ostacolo: è un progetto. Pensiamoci:
Non che tutto questo sia per forza positivo, intendiamoci, ma qui siamo e questo è il sistema che ci circonda e con questo ci dobbiamo confrontare. Soprattutto quando accompagniamo bambini e ragazzi dobbiamo ricordarlo: i problemi sono ponti, non muri. Educare a trovare i problemiIn una cultura che idolatra la facilità, serve una vera educazione alla gestione delle difficoltà. Come possiamo farlo concretamente? Qualche esempio pratico Con i bambini:
Con gli adolescenti:
Se un errore scolastico li demoralizza, possiamo aiutarli a distinguere tra "errore" e "fallimento personale", valorizzando l'errore come parte del processo. Con i team di lavoro:
Il coraggio di restare nella difficoltàLa vera educazione responsabile non consiste nel rendere la vita priva di problemi, ma nel coltivare la capacità di stare dentro i problemi senza paura, senza fuga. Essere educatori (nel senso più ampio del termine) significa saper trasmettere che:
Come diceva Karl Popper: E allora, oggi più che mai, il nostro compito è aiutare chi ci è affidato a trovare i problemi, ad accoglierli e a trasformarli in opportunità di crescita e di scoperta. Perché la vera evoluzione personale e collettiva nasce sempre da lì: da un problema che diventa progetto. Spero che questa newsletter ti abbia riappacificato con i problemi e aperto un nuovo sguardo su di essi, se hai spunti e commenti puoi mandarmi un messaggio via mail o su instagram. |
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